domenica 26 marzo 2023

Imago #11: Praticamente perfetti sotto ogni aspetto (o forse no?!)

 

Nella nostra vita quotidiana siamo pervasi e quasi ossessionati dall'idea di perfezione.

Il lavoro dei sogni, il partner perfetto, il viaggio perfetto, i grandi risultati nello sport. Da quando sono arrivate le fotocamere digitali (e poi i telefoni con fotocamera) tutti a cercare lo scatto perfetto e il video da oscar.

E giù di frustrazione perché questa perfezione che riempie i nostri occhi poi non riusciamo a raggiungerla, quasi mai. E se qualcuno di noi la raggiunge o ci si avvicina molto in qualche campo, poi le scelte sono due: o fai diventare quel campo il tuo mondo e il tuo mondo diventa veramente povero e incomprensibile per i non addetti ai lavori, o in alternativa sarai frustrato in qualche altra situazione perché, lo sappiamo bene, di Mary Poppins ce n'è solo una, praticamente perfetta sotto ogni punto di vista.

Da più di 2000 anni c'è una statua a ricordarlo. Incarna l'ideale della perfezione del mondo greco, è la Venere di Milo. E assurdamente, questa statua, simbolo della perfezione, non ha le braccia. Ce le aveva? Quasi sicuramente sì, le ha perse nel corso della sua storia. Questo sminuisce il suo valore? Ne fa una "brutta statua"? Assolutamente no, tanto che è una delle opere più ammirate al museo del Louvre.

Anche noi siamo di valore con tutte le nostre imperfezioni. Che non vuol dire solo accettare i propri limiti e amarli come direbbe qualcuno. Ma vuol anche dire amare quel che fai e quel che sei in quel momento e non in vista di un risultato futuro. Attenzione non sto parlando di quel Carpe Diem alla John Keating che ha portato tanta ispirazione ma anche tanti disastri. Non sto nemmeno parlando di accontentarsi e di adagiarsi.

E tutto ciò c'entra terribilmente con il tempo. Il tempo di studiare, il tempo di leggere, il tempo di allenarsi, il tempo di parlare, il tempo di ascoltare, il tempo di riposare, in alcuni casi addirittura il tempo del far niente.

Tanti allenatori, maestri, professori, amici, colleghi negli anni hanno cercato di fare leva sul mio senso di colpa. "Stai buttando via il tuo tempo" o ancora "Devi fare almeno tre o quattro allenamenti a settimana", "Devi esercitarti al piano almeno un'ora al giorno", "Devi studiare per il 30", "Altrimenti sarai un fallito", "Altrimenti non imparerai", "Non puoi saltare allenamento", "Devi fare dei sacrifici".

Ecco il fulcro di tutto. Il sacrificio come strada per la perfezione. Tanti bambini e ragazzi, montati già a 10 anni come futuri campioni olimpici o premi Nobel. Poi si perderanno perché alla fin fine uno è il campione olimpico di una disciplina, uno è il Premio Nobel di quell'anno. E gli altri 8 miliardi di persone? Tutti senza valore?

Secondo me la strada è ridare valore al nostro tempo, al tempo che investiamo, anche a prescindere dai risultati. Dobbiamo avere uno sguardo largo, uno sguardo che abbraccia, che guarda la nostra figura intera, non le braccia mancanti.

Faccio due allenamenti a settimana di pattinaggio, quasi sicuramente non riuscirò mai a fare una back o un axel. Ma io continuerò lo stesso a portare l'asticella un po' più in là. Mi diverto, la sensazione di libertà e leggerezza quando ho i pattini ai piedi è impareggiabile.  Ed è questo che conta.

Gioco a pallavolo tra amici il sabato mattina, le mie ginocchia non mi permettono di giocare più di una volta a settimana. Non sono andato in serie A come sognavo da bambino, a dire il vero non gioco in un campionato vero da più di 20 anni. Ma anche in questo caso la sensazione in campo e di giocare insieme ad altre persone è indescrivibile. Ed è questo che conta.

I sabati sera accoccolati insieme in divano davanti alla TV, dopo una settimana stressante al lavoro. Potevamo fare altro, potevamo uscire? Forse sì. È tempo perso? Assolutissimamente no. È tempo preziosamente investito. Ed è questo che conta.

Quelle ore interminabili spese da tuo papà a venire a vedere delle partite di cui non capiva le regole e in cui tu non entravi quasi mai. Era del tempo perso? Per lui forse sì. Ma per te quella presenza sugli spalti, anche a distanza di tantissimi anni scalda ancora il cuore. Ed è questo che le dà valore, ed è questo che conta.

Per non parlare ad esempio del viaggio di Nozze, con la rinuncia forzata alle Skellig Islands a causa del mare grosso, con il diluvio universale alle Giant Causeway. È stato il viaggio perfetto? Probabilmente no. Ma a distanza di anni abbiamo ancora gli occhi straripanti di quell'azzurro e quel verde. Ed è questo che conta.

Ci sono libri che ho letto anche 3 volte, film o serie che ho visto decine di volte. È tempo perso? Chi può dirlo... Ma secondo me quella sensazione di sentirsi a casa, di familiarità, quelle gare a chi anticipa le battute valgono il tempo perso. Ed è questo che conta.

Ma anche leggere un nuovo libro, provare una nuova esperienza, lanciarsi nel brivido dell'inatteso... a anche quello ovviamente conta, tantissimo.

Avevo una mamma che nella sua vita è andata in vacanza praticamente in soli due posti, Jesolo ed Asiago, e ho un fratello che ha girato più di mezzo mondo. Modelli diversi, tempo sprecato? No, investito in modo diverso con un valore altissimo in entrambi i casi.

Nello sguardo largo, nello sguardo complessivo le imperfezioni spariscono, anzi meglio diventano differenze, particolari che rendono la tua vita unica e degna di essere vissuta.

Ogni vita diversa, ogni vita preziosa, ogni vita ricca di sfaccettature, ogni vita che non può essere presa come metro per misurarne un'altra. E ricordando che io posso alzare l'asticella anche se non so quanto sto saltando io e nemmeno quanto saltano gli altri. Ma la alzo solo per il piacere di saltare e per la sensazione di volare.

domenica 19 settembre 2021

Imago #10: Non si finisce mai di imparare (e forse dobbiamo accettarlo)

 

Un vecchio adagio recita: "Non si finisce mai di imparare". 
Ecco per me questo è stato uno shock da cui forse devo ancora riprendermi.
Non è un segreto che a me sia sempre piaciuto andare a scuola. Mi è sempre piaciuto imparare cose nuove, anche nelle materie che magari odiavo, come Filosofia. Però dentro di me avevo questa falsa illusione che a un certo punto sarebbe finita. Intendiamoci, non che avrei finito di imparare, ma che a un certo punto ne avrei saputo abbastanza, almeno di una materia, da sentirmi "adeguato".
E invece no. Invece è come essere dentro un frattale. Date un occhio all'immagine qui sopra. Dà le vertigini vero? È una caduta infinita in nuovi mondi... È come salire una montagna e la cima non arriva mai.
Ecco come mi sono sentito io nel corso dei miei studi.

Parti alle elementari, arrivi in quinta e sai che alle medie imparerai tante cose nuove. Idem nel passaggio alle superiori. Poi in quinta superiore il primo dramma, la prima scelta: per l'università dovrai per forza abbandonare delle materie che ti piacciono, tutto non si può fare. E per uno che era indeciso sulla facoltà tra fisica, storia e ingegneria era una gran bella scelta.
Con un bel po' di dubbi scegli Ingegneria abbandonando lungo la via materie che comunque ti appassionano (e che ora affollano i miei podcast) come storia, biologia, astronomia. Ma a te piacciono la fisica e la matematica ma anche l'informatica, in queste materie ti senti forte per cui vada per Ingegneria. Ma questa tua presunta forza viene messa bene alla prova dal primo anno in cui ti arrivano in serie Analisi I, Geometria, Fisica I... tutte materie che in teoria conoscevi già e che invece ti aprono mondi sconosciuti.
Ma finito il primo anno ce ne sono altri quattro. Gli esami riguardano materie di cui ignoravi completamente l'esistenza come "Controlli Automatici" o "Teoria dei Sistemi". Prima li ignoravi, ora diventano la tua materia preferita. Ed ecco la seconda grande scelta dopo quella della quinta superiore: a che professore chiedo la Tesi? Campi Elettromagnetici, Elaborazione numerica dei Segnali o Teoria dei Sistemi? Per i non addetti ai lavori sembrano sempre robaccia da ingegneri, ma vi assicuro che c'entrano l'una con l'altra quasi come la fisica con la storia. Alla fine vada per "Teoria dei Sistemi". Mi laureo, alla discussione praticamente capiscono quello che dico solo il mio relatore e il presidente di commissione. Per gli altri praticamente è arabo. Ti laurei, ti senti forte, sai un sacco di cose, hai fatto un sacco di fatica ma finalmente ne sai a pacchi di trasmissioni, controllo, codifiche...

Poi, visto che decidi di continuare, inizia il dottorato e lì arriva lo shock: passi dall'altra parte e capisci che nei 28 esami che ti hanno portato alla laurea, che sono costati un bel po' di fatica, in realtà tu hai studiato un "bignami". Hai visto la punta dell'iceberg. Hai visto i fondamenti di ogni singola materia. Quello su cui si fa ricerca è anni luce più avanti e si aprono mondi di cui non avevi la minima idea, mondi che scopri di conferenza in conferenza...

E lì io mi sono fermato, schiacciato da questa enormità di conoscenza. La fatica e la quantità di tempo richieste per conoscere anche solo decentemente un solo pezzetto di questa enormità mi hanno bloccato. Mi sono rassegnato. Sono uscito. Mi sono messo a fare altro in cui non fossi in questa caduta infinita.

Ma con una nostalgia infinita di quel sapere, nostalgia che torna e si insinua un po' ovunque.

E forse prima o poi riprenderò quella caduta, stavolta con un atteggiamento diverso, non di chi vuole vedere cosa c'è in fondo, ma di chi si vuole godere il viaggio.

lunedì 1 febbraio 2021

Imago #9: Il bambino nel carrello, la guerra termonucleare globale e il presente che non esiste.

 

La settimana scorsa ero in coda alla cassa di un supermercato e la mia attenzione è stata catturata da un bimbo di 4-5 anni che, seduto nel carrello della spesa, stava usando con disinvoltura lo smartphone della mamma.
Al di là di tutti i ragionamenti e le obiezioni che potremmo fare sull'utilizzo a volte anche troppo intenso e precoce di questi strumenti da parte dei più piccoli mi sono soffermato sul concetto di realtà e di presente.
Per questi bimbi il cellulare è parte integrante del mondo, per loro è sempre esistito ed è uno degli oggetti "naturali". Loro non hanno vissuto l'epoca pre internet, pre smartphone, pre cellulare. Quello che per noi è stata una novità, un cambiamento, una realtà "cambiata" per loro è semplicemente la realtà. 
Allo stesso modo per noi degli anni '80 erano scontati la televisione, i cartoni animati e il Commodore 64. Noi siamo cresciuti in un mondo che era normale fosse diviso in due blocchi: da un lato c'erano i buoni americani, dall'altro i cattivi russi. Era la normalità e c'erano fior fiore di film a ricordarcelo, da Top Gun a Rocky 4, da Caccia a Ottobre Rosso alla Guerra Termonucleare Globale di War Games. Quello che per noi era semplicmente il mondo e che abbiamo vissuto la caduta del muro e dell'URSS come un grande cambiamento, era in realtà una semplice fase storica che è durata appena qualche decennio.

Da tutto ciò torna con forza una delle grandi "rivelazioni" di questi ultimi tempi: il presente non esiste, è un semplice futuro che istantaneamente diventa passato. Siamo noi a creare il presente cercando e sottolineando le parti che non cambiano perché abbiamo bisogno di certezze. Abbiamo bisogno di stabilità. Così il nostro presente diventano i nostri genitori, i nostri amici, le nostre abitudini ma ognuna di queste entità della nostra vita in realtà sta cambiando, alcune più lentamente altre in maniera più sensibile.
I nostri genitori invecchiano, gli amici cambiano, a volte se ne vanno. E la nostra tendenza è quella del bambino del carrello, dare per scontato che tutto sia come il cellulare, che sia sempre esistito e sempre esisterà. Invece la verità è che il mondo è come quello stesso cellulare, ma visto dal nostro punto di vista. Con la consapevolezza che è solo un momento che sta già diventando qualcosa di nuovo e diverso.